Accesso al WhatsApp dell’ex: un reato anche con la password conosciuta
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 3025 del 27 gennaio 2025, ha nuovamente affrontato una questione di grande attualità: l’accesso non autorizzato ai dispositivi elettronici altrui, anche quando si è in possesso delle credenziali di accesso. Questo comportamento, spesso sottovalutato, può configurare reati gravi, come l’accesso abusivo a sistema informatico e la violazione di corrispondenza.
Il caso concreto
La sentenza riguarda un uomo che, conoscendo il codice di sblocco del telefono della sua ex compagna, ha deciso di accedere al dispositivo per estrarre conversazioni relative al loro figlio, con l’intento di utilizzarle come prove in un procedimento civile. Nonostante la finalità apparentemente legittima, la Corte ha ritenuto la condotta illecita, ribadendo un principio già consolidato: l’accesso a un sistema informatico senza il consenso esplicito del titolare costituisce reato, indipendentemente dalla conoscenza delle credenziali di accesso.
I reati contestati
La Cassazione ha confermato la presenza di due reati distinti: l’accesso abusivo a sistema informatico (art. 615-ter cp) e la violazione di corrispondenza. Il primo si configura quando un soggetto accede a un dispositivo o a un sistema informatico senza autorizzazione, anche se in possesso delle chiavi di accesso. Il secondo, invece, riguarda la lettura o l’intercettazione di comunicazioni private senza il consenso del destinatario.
La Corte ha sottolineato che l’illecito sussiste anche se le credenziali sono state comunicate in precedenza, purché l’accesso avvenga in contrasto con la volontà del titolare del dispositivo. Questo principio è stato ribadito in numerose sentenze precedenti, tra cui la Cassazione 34141/2019 e la Cassazione 2905/2019.
Nessuna giustificazione valida
Nel caso in esame, l’imputato ha tentato di giustificare la sua condotta sostenendo di aver agito per tutelare il benessere del figlio, adempiendo al proprio dovere di genitore. Tuttavia, la Corte ha ritenuto questa motivazione priva di fondamento. Infatti, esistono strumenti legali, come i provvedimenti del giudice civile, per ottenere le prove necessarie senza violare la privacy altrui.
La giurisprudenza è chiara: non è possibile invocare il diritto di difesa o lo stato di necessità per giustificare un accesso abusivo. La produzione di prove in giudizio deve avvenire nel rispetto delle norme procedurali, senza ricorrere a condotte illecite.
Le implicazioni pratiche
Questa sentenza ha implicazioni significative per professionisti e aziende, soprattutto in contesti in cui l’accesso a dispositivi o sistemi informatici è comune. Anche se si conoscono le credenziali di accesso, è fondamentale rispettare i limiti dell’autorizzazione concessa. Ad esempio, se un dipendente ha accesso al computer aziendale per motivi lavorativi, non può utilizzare tale accesso per leggere email o file personali del datore di lavoro.
Inoltre, la sentenza sottolinea l’importanza di adottare misure preventive per proteggere i propri dispositivi e dati. Cambiare regolarmente le password e limitare l’accesso a terzi sono pratiche essenziali per evitare violazioni della privacy.
Cosa fare in caso di necessità di prove
Se si ritiene di avere diritto a determinate informazioni o prove, è fondamentale seguire le vie legali. Rivolgersi al giudice civile per ottenere un provvedimento autorizzativo è l’unico modo legittimo per accedere a dati o comunicazioni private. Questo approccio non solo evita il rischio di commettere reati, ma garantisce anche che le prove ottenute siano ammissibili in giudizio.
La sentenza della Cassazione n. 3025/2025 rappresenta un monito importante per tutti coloro che, per motivi personali o professionali, hanno accesso a dispositivi o sistemi informatici altrui. Anche se si conoscono le credenziali di accesso, l’utilizzo non autorizzato di tali strumenti può configurare reati gravi, con conseguenze legali significative. Per evitare sanzioni e proteggere i propri diritti, è essenziale agire nel rispetto delle norme e delle procedure legali.
In un’epoca in cui la tecnologia è sempre più presente nella nostra vita quotidiana, la tutela della privacy e dei dati personali diventa una priorità assoluta. Questa sentenza ribadisce l’importanza di un uso responsabile e consapevole degli strumenti digitali, sia nel contesto privato che professionale.