Esercizio illegale: compiere “atti tipici” della professione legale

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Per la Cassazione, chi si qualifica come “avvocato” e svolge atti tipici legati o precedenti a un giudizio civile, commette esercizio abusivo della professione

INDICE

Atti legali tipici

Chiunque svolga pratiche legate a un contenzioso civile qualificandosi come avvocato senza esserlo, commette esercizio abusivo della professione, secondo l’art. 348 c.p. Questo è stato stabilito dalla Corte di Cassazione nella sentenza n. 13341/2024.

Attività stragiudiziale e consulenza: atti non esclusivi della professione legale

Una donna è stata condannata in primo e secondo grado per esercizio abusivo della professione (art. 348 c.p.) con una pena di tre mesi e 10 giorni di reclusione, accusata di compiere atti tipici della professione legale.

Il difensore dell’imputata, in Cassazione, ha contestato l’uso dell’appellativo “avvocato” da parte dell’imputata, confermato da un testimone della difesa. Secondo la difesa, la consulenza legale e l’assistenza stragiudiziale non sarebbero atti tipici riservati alla professione legale poiché non direttamente collegati all’attività giurisdizionale. L’imputata ha inoltre avuto solo contatti telefonici e via lettera con i “clienti” e non ha iniziato una trattativa formale di recupero crediti.

Apparenza di attività professionale integra reato

La Cassazione ha rigettato il ricorso, sottolineando che l’imputata ha avuto contatti diretti con i “clienti” testimoni. Un testimone ha riferito di essersi recato in uno studio con una targa all’esterno, e l’imputata si è qualificata come collega dell’avvocato della controparte, incontrando un altro “cliente” e presentandosi come esperta in recupero crediti, ricevendo vari fascicoli e fornendo rassicurazioni.

La Cassazione ha ricordato che: “integra il reato di esercizio abusivo di una professione di cui all’art. 348 cod. pen., il compimento senza titolo di atti che, pur non attribuiti singolarmente in via esclusiva a una determinata professione, siano univocamente individuati come di competenza specifica di essa, allorché lo stesso compimento venga realizzato con modalità tali, per continuatività, onerosità e organizzazione, da creare, in assenza di chiare indicazioni diverse, le oggettive apparenze di un’attività professionale svolta da soggetto regolarmente abilitato (Sez. U, n. 11545 del 15/12/2011). Detto reato, viceversa, non risulta integrato con il compimento occasionale di una attività stragiudiziale, non potendo una prestazione isolata essere sintomatica di un’attività svolta in forma professionale, in modo continuativo, sistematico ed organizzato.”

Gli Ermellini hanno citato la legge n. 247/2012 all’art. 2 comma 5 che stabilisce che: “sono attività esclusive dell’avvocato, fatti salvi i casi espressamente previsti dalla legge, l’assistenza, la rappresentanza e la difesa nei giudizi davanti a tutti gli organi giurisdizionali e nelle procedure arbitrali rituali.” Il comma 6 sancisce inoltre che “fuori dei casi in cui ricorrono competenze espressamente individuate relative a specifici settori del diritto e che sono previste dalla legge per gli esercenti altre professioni regolamentate, l’attività professionale di consulenza legale e di assistenza legale stragiudiziale, ove connessa all’attività giurisdizionale, se svolta in modo continuativo, sistematico e organizzato, è di competenza degli avvocati.”

Corrette quindi le conclusioni della Corte d’Appello, per cui “tutte le pratiche di cui era stata incaricata la ricorrente erano connesse o strettamente prodromiche (e dunque ‘connesse’) ad un contenzioso civilistico.”

Alla luce di queste motivazioni, la condotta dell’imputata ha chiaramente integrato il reato di esercizio abusivo della professione legale.

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